Bombe nucleari del Regno Unito

Gli americani, al termine della seconda guerra mondiale, avevano coperto i progressi nel settore nucleare con una coltre di segretezza, impedendo anche agli alleati inglesi l’accesso a dati essenziali per la fabbricazione di ordigni nucleari. Ma nel  1949 era apparso evidente che un controllo internazionale sulle armi nucleari non avrebbe sortito alcun effetto, così sono ricominciati i contatti tra i due paesi. Lo scoppio del primo ordigno nucleare sovietico nello stesso anno, in anticipo sul previsto 1954, ha dato la spinta necessaria a superare le remore americane. Il primo congegno nucleare inglese è detonato il 3/10/1952 nel corso del test Hurricane.

Blue Danube Mk 1-2-3

Il primo ordigno nucleare inglese è arrivato ai reparti alla fine del 1953 ma solo l’anno dopo è entrato in servizio il primo vettore, il Valiant. La Blue Danube ha effettuato i test in Australia, nel 1956. Simile all’americana Mk-4, era a fissione ad implosione.

Definita nella nomenclatura ufficiale ‘Bomb, HE, 10,000lb, MC’ o ‘Smallboy’ era lunga 7,32 metri, aveva un diametro di 1,57 metri ed alette retrattili, per facilitare il carico nella stiva, con una apertura di 2,59 metri. L’involucro era chiaramente derivato dalle Grand Slam della seconda guerra mondiale. Molto aerodinamica, raggiungeva una velocità terminale di oltre Mach 2. Era la più piccola realizzabile con la tecnologia disponibile e le sue dimensioni hanno condizionato il progetto dei bombardieri V. Ne era previsto il lancio solo ad alta quota, a 15240 metri. La testata iniziale impiegava plutonio, poi si è preferito un composto Pu/U-235. La scarsa quantità di materiale fissile disponibile, oltre alla riduzione dei rischi di predetonazione, prima ragione per un nucleo misto in Pu/U-235,  hanno suggerito una potenza limitata. La bomba è stata continuamente modificata. La potenza del primo modello Mk-1 era di 16 kT. Non è certo che una variante da 40 kT sia arrivata alla produzione.  Avrebbe probabilmente richiesto la riprogettazione.

bluedanube 1

La parte anteriore era in plastica, a protezione delle spolette radar. Solo due ditte potevano fornire lo standard adeguato e questo rischiava di compromettere l’efficienza degli altimetri. Le spolette barometriche era utilizzate per attivarli negli ultimi secondi prima dello scoppio ad una quota definita,  rendendoli immune al jamming, ma non potevano garantire da sole la precisione non conoscendo la pressione locale.

Come tutte le prime armi del genere, non era stata costruita per requisiti militari stringenti. Era ancora sperimentale e avrebbe richiesto una riprogettazione totale. Non mancavano i difetti. L’energia per le spolette e per i circuiti di attivazione era fornita da batterie al piombo inaffidabili. I generatori di neutroni al polonio e berillio per la fissione avevano una vita utile di appena 6-9 mesi, prima della sostituzione. Nella  Blue Danube Mk-1, il nucleo fissile andava inserito prima del decollo.  Nella Mk-2  l’operazione era possibile anche in volo.

Era prevista una produzione di 800 bombe invece ne sono state prodotte 58,  forse solo 20 disponibili contemporaneamente. Nel 1958 la produzione è cessata. La bomba è rimasta in servizio fino al 1962.

Violet Club

Consegnata ai reparti Vulcan in 5 esemplari, tra la metà e la fine del 1958, la Violet Club è stata il primo ordigno di grande potenza. Avrebbe dovuto fornire una “capacità di emergenza” fino all’arrivo di una nuova testata termonucleare (Granite) da sviluppare nei test dell’operazione Grapple. Derivata da una variante ridotta (Orange Herald) della  Green Bamboo, privata degli elementi che favorivano una fusione parziale, usava la testata Green Grass di 1505 kg, conosciuta anche come Knobkerry e Interim Megaton Weapon ed era a semplice fissione ad implosione di uranio arricchito (HEU), la più grande mai fabbricata in serie. Si è impiegato il materiale fissile già destinato alla futura bomba termonucleare.  

bluedanube

Era lunga 7,31 metri, con un diametro di 1,57 metri. La denominazione ufficiale, “Bomb, Aircraft, HE 9,000 lb HC”,  non rifletteva il peso reale, di 4659 kg. Incorporata nell’involucro delle vecchie Blue Danube, si è unita della zavorra per mantenere il peso originale, conservando le prestazioni balistiche ed evitando altri test.

La bomba imponeva alcune limitazioni al velivolo lanciatore, che non poteva salire con un angolo superiore a 12,5°, picchiare a oltre 30°, e rollare più di 34°. Il lancio avveniva solo ad elevata altitudine. La quota di scoppio era di 1067 o 1890 metri per massimizzare la sovrappressione al suolo a 6 PSI, o per evitare il contatto della “firewall” col terreno. L’errore previsto era di 120-160 metri. Le spolette radar della Blue Danube, erano state sostituite con timer e, come back up,  spolette barometriche, a impatto e decelerazione. Il muso in plastica era sostituito con uno di metallo. I timer si attivavano al momento dello sgancio, ed erano registrati sulla base dei dati balistici dell’involucro. Ma alla velocità terminale di Mach 2, le spolette barometriche erano soggette ad errori provocati dalle onde d’urto transoniche. Sviluppava 400 kT.

La Violet Club avrebbe dovuto avere breve vita operativa, perciò si è accettato un basso livello di sicurezza. Un incendio o un impatto avrebbero potuto far collassare il tamper provocando una reazione a catena  spontanea. I tecnici AWRE hanno allora inserito una sacca di gomma da  riempire con 6500 sfere di 25 mm diametro (473 kg) per riempire la cavità e impedire lo scoppio accidentale, e un tappo di chiusura. La natura instabile della bomba imponeva assistenza alla base e ispezioni di 3 settimane ogni 6 mesi, per il deterioramento della sacca di gomma e dell’alto esplosivo, e per la corrosione delle sferette. Nel corso di un incidente nel 1958-59 il tappo è stato inavvertitamente rimosso provocando la caduta delle palline e lasciando l’arma carica. Da allora si è deciso di reinserirle nella bomba capovolta. Le sferette erano rimosse prima del decollo, lasciando l’arma armata. Facevano aumentare il peso a 5132 kg ma il sistema di sgancio del Vulcan non tollerava oltre 5035 kg così non si poteva decollare con l’arma in sicurezza e dirigersi su una base dispersa. Non si potevano accendere i motori, per evitare vibrazioni delle palline. Pericolosa durante il volo e ancor più in atterraggio, non poteva essere portata in esercitazione. Nè trasportata per strada alle basi disperse. E non era scomponibile. Le batterie che fornivano energia al Blue Stone ENI (External Neutron Initiator) venivano inserite appena prima del decollo, come misura di sicurezza, allungando ulteriormente i tempi. La bomba, con 689 kg di esplosivo e un elevato quantitative di materiale fissile richiedeva il montaggio e lo smontaggio sul posto, solo con tecnici AWRE. Ma la pubblicazione di un manuale di manutenzione per i militari ha incontrato decisa opposizione, per ragioni di sicurezza. I depositi contenevano solo 2 armi, mantenute a 18-28°C con aria condizionata, per prevenire variazioni di volume nell’esplosivo contenuto.

violet club

A causa della mancanza di test e dell’affrettata messa in servizio la bomba non è stata formalmente accettata,  rimanendo in custodia allo staff della AWRE nelle basi del Bomber Command. La RAF era consapevole dei limiti quando aveva accettato la Violet Club, perchè era previsto che dopo un anno una variante migliorata della Green Grass  in un involucro Yellow Sun sarebbe entrata in servizio, con un sistema di rimozione delle sfere in volo. Ma il modello non è mai stato prodotto.  Le 5 Violet Club sono state ritirate a metà del 1959.

Yellow Sun Mk 1

Le 5 testate Green Grass recuperate, assieme ad altre 32 nuove, sono state inserite nelle nuove Yellow Sun Mk.1, con modifiche  per consentire la rimozione in volo delle sferette, la cui quantità è salita a 120000 di 9,5 mm, per poterle rimuovere più facilmente. Ma il sistema non è mai stato implementato, continuando a suscitare insoddisfazione per i motivi già visti. Entrate in servizio nel 1959, soffrivano dei difetti delle precedenti:  funzionavano ma non garantivano uno standard adeguato in settori come la sicurezza, l’affidabilità, il costo e la vita utile.  Le Green Grass  sulle Yellow Sun non sono mai state sperimentate.

Denominata  Bomb, Aircraft HE 7,000 lb HC Mk.1, la Yellow Sun Mk 1  era lunga 6,4 metri, con un diametro di 1,22 metri. Pesava 3290 kg e sviluppava sempre 400 kT.

La procedura di armamento, ereditata dalla Violet Club, imponeva un tempo di “scramble” mai al di sotto dei 30 minuti,  e di notte o col maltempo non erano rari  90 minuti.

YellowSunBomb

La Yellow Sun Mk.1 era sempre un’arma di emergenza, inadatta alla conservazione per lunghi periodi.  Presto si sarebbe reso disponibile il modello Mk.2 con una testata termonucleare derivata dal progetto Granite. Alla fine del 1958 il governo inglese, però, ha deciso di terminare lo sviluppo della Granite e di adottare la testata americana W-28. Molte bombe Mk-5, MK-28 e Mk-43 sono state fornite ai bombardieri V, con sistema a doppia chiave. Le armi americane erano già testate ed erano più economiche. Ogni miglioramento sulle  Yellow Sun Mk-1 è terminato nel 1961 e la bomba è stata radiata nel  1963.

Yellow Sun Mk2

Nel 1958  i Victor e i Vulcan sono stati modificati con cablaggi compatibili con tre armi prossime ad essere adottate: la Yellow Sun, la Red Beard e l’americana Mk-5. La modifica li avrebbe resi però non più adatti alle Blue Danube e alle Violet Club.

Il primo test del programma Yellow Sun Mk-2 è avvenuto impiegando un Valiant con una Blue Danube armata con la testata sperimentale. 

Trasportata solo dai Victor e Vulcan, la Yellow Sun Mk-2 è entrata in servizio nel 1961, come arma strategica principale, denominata Bomb, Aircraft HE 7,000 lb HC Mk.2.

YellowSun

La variante inglese della Mk-28 era denominata Red Snow e sviluppava 1 MT. L’impiego dello stesso involucro della Yellow Sun Mk-1, pur con una testata nucleare piccola come la Mk-28, sembra avesse lo scopo di ridurre i costi e l’integrazione coi velivoli. Gli equipaggi erano già addestrati sulla precedente unità, e le attrezzature sulle basi erano predisposte per bombe più grandi. Si poteva anche nascondere la riduzione di dimensioni della più potente testata. E’ stato però necessario appesantire con zavorra la bomba, non potendo beneficiare della riduzione del peso.

La Yellow Sun doveva essere lanciata ad alta quota, dove i bombardieri erano vulnerabili ai missili contraerei. Vi sono stati tentativi per adattarla al lancio da 3657 metri dopo una manovra  “pop-up” da bassa quota,  ma era evidente che serviva una bomba più adatta. Fabbricate in 86-96 pezzi, sono rimaste in servizio fino al 1970-72, sostituite dalle WE-177B. 

Red Beard  Mk1    

Lo sviluppo di una vera bomba “operativa” è iniziato nel 1954 col requisito OR.1127 ed è terminato nel 1958. E’ stata soprannominata inizialmente “Javelin Bomb”, perchè prevista per un bombardiere derivato dal caccia omonimo, e poi “Target Marker Bomb” per permettere la diffusione dei dati di peso e dimensioni senza comprometterne la sicurezza. Provata nel 1956, nei due test Buffalo in Australia, è entrata in produzione nel 1959 con l’ingresso in servizio solo nel 1961.  Il nucleo a fissione potenziata (tritium boosted) ad implosione, impiegava un composito Pu/U-235 per ridurre il rischio di  predetonazione e fare un uso più economico dello scarso materiale fissile. Il meccanismo più efficiente di implosione consentiva di ridurre sensibilmente dimensioni e peso. Finalmente gli aerei tattici avrebbero potuto montare armi nucleari.

Prima bomba nucleare tattica di seconda generazione era lunga 3,66 metri, aveva un diametro di 71 cm e pesava 794 kg. Misure simili alle americane Mk-5 e Mk-7. Il diametro era troppo elevato rispetto alla lunghezza e, per stabilizzare la caduta,  la bomba aveva alette retrattili, attivate da un cordino agganciato all’aereo.

red beard 2

Identificata come Bomb, Aircraft, HE 2,000 lb MC Mk1 No.1, era destinata ai bombardieri V, con lancio ad alta quota “ballistic”. Sviluppava 10-15 kT.

Red Beard Mk2

La variante Mk2 (Bomb, Aircraft, HE 2,000 lb MC Mk2) era disponibile nelle sottoserie No.1 “ballistic”, per i bombardieri d’alta quota, e No.2 “loft” per i velivoli tattici, con lancio a bassa quota con le tecniche “toss” e “over-the-shoulder” (LABS). Sviluppava 25 kT.

Il primo modello aveva limitazioni ambientali, evidenti quando montato sugli Scimitar sui ponti delle portaerei. L’Mk.2  era realizzato per resistere a condizioni estreme.

Sul muso vi erano due turbine ad aria alimentate da piccole prese, che allontanavano il rischio di dispersioni elettriche prima del lancio, con scarichi sui lati. La bomba prendeva elettricità dall’aereo per pre-riscaldare le due spolette radar. Un sensore barometrico le attivava negli ultimi secondi prima della quota di scoppio calcolata, riducendo la possibilità di contromisure che le disabilitassero. Vi erano spolette back-up a contatto e di decelerazione.

Red_Beard

L’attacco tipico era “loft” a bassa quota (toss bombing), con la spoletta che si attivava durante la salita, in traiettoria balistica,  attivando lo scoppio al raggiungimento della quota stabilita.

Nonostante i progressi, la Red Beard era pesante, ingombrante e presentava problemi di maneggio e  immagazzinaggio, con temperature da rispettare. Non era adatta al trasporto e al lancio supersonico a bassa quota, oltre 1,13 Mach la coda rischiava di staccarsi. Il generatore di neutroni doveva essere rigenerato ogni 6 mesi all’AWRE, riportando le bombe da località anche lontane, come Cipro (48 bombe) e Singapore. 

La Red Beard era divisa in quattro sezioni, per motivi di sicurezza. Il nucleo era separato dall’alto esplosivo, dai detonatori e dalla batteria. Ma il personale aveva poca esperienza nell’assemblaggio di componenti ancora molto complessi, tipici della prima generazione. La bomba impiegava batterie al piombo poco affidabili per alimentare i radar altimetri e l’innesco, ed era sempre presente la possibilità di dispersioni elettriche col rischio di una esplosione accidentale. Nella testata Mk1, il nucleo fissile andava inserito prima del decollo (last minute loading, LML) per aumentare la sicurezza, senza poter cambiare selezione in volo o disarmare per il ritorno. Ma l’atterraggio con l’arma attiva era proibito, l’aereo doveva dirigersi verso basi costiere. Nella successiva testata Mk2 era possibile la modalità di caricamento in volo (in-flight loading, IFL). La maggior parte delle Mk1 è stata convertita al modello Mk.2 nel 1961-62.

Red Beard Mk3

Destinata ai TSR2, avrebbe adottato un involucro (Mk2) più appuntito e un sistema di inserimento meccanico dell’innesco fissile in volo (In-Flight Loading, IFL). Era in sviluppo una nuova testata migliorata  Mk.2  (retrofittabile sui vecchi involucri Mk.1) più potente e con meno restrizioni di immagazzinaggio, ma non sembra sia mai entrata in servizio. I limiti di base, dimensioni, peso, impossibilità di trasporto ad alta velocità e bassa quota, oltre alla potenza insufficiente ne hanno decretato la cancellazione. 

Le Red Beard erano abilitate all’uso sui Canberra, Buccaneer S1, Scimitar, Sea Vixen e sui bombardieri  V. Prodotte dal 1959, sono entrate in servizio ad aprile del 1960. Alla fine del 1962 erano in servizio in 80 esemplari nella RAF. Altri 28 per la Fleet Air Arm sono stati consegnati negli anni successivi.

WE.177  

Lo sviluppo di una nuova bomba nucleare è iniziato nel 1958 come “Improved Kiloton Bomb”, volto a realizzare un’arma per sgancio da media e bassa quota per sostituire la Red Beard. Il rimpiazzo era urgente e sono state siglate due specifiche, ad agosto 1959, per la testata (OR.1176), poi PT.176, e per l’arma completa (OR.1177), poi WE.177.  Il nuovo modello avrebbe avuto potenze differenti, fissate in produzione, 50, 100, 200, e 300 kt, un peso di massimo 453 kg e un diametro non più elevato di quello della Red Beard. I principali utilizzatori sarebbero stati i TSR.2 e i Buccaneer ma era prevista anche per gli Harrier, i bombardieri V e i Canberra. Anche se la specifica originale dei TSR.2 richiedeva la Red Beard, si è subito visto che l’alta resistenza aerodinamica, le limitazioni di temperatura e le dimensioni ne avrebbero reso il trasporto interno/esterno e il lancio ad alta velocità impossibili. Il requisito della Royal Navy GDA.10  Red Flag riguardava un sostituto della Red Beard che consentisse il trasporto e il lancio (LABS) a velocità supersonica e bassa quota ai Buccaneer. Successivamente si è richiesta la modalità “laydown” per ridurre la vulnerabilità e l’impiego aggiuntivo come bomba di profondità (NDB) per gli elicotteri, con un limite di 250 kg. Le potenze previste erano tre: 0,5 kT per la bomba di profondità, 10 kT per gli aerei d’attacco e una testata di 2 kT per i missili Sea Slug Mk.2 e Sea Dart, quest’ultima presto abbandonata. La specifica differiva sia in peso che potenza dall’OR.1177 della RAF. Ma il fattore peso era vitale per consentire il trasporto sugli elicotteri. La B-57 americana era già stata rifiutata perché non disponeva di spoletta idrostatica ma di timer. Nel maggio del 1960 il requisito GDA.10 è stato unificato all’OR.1176/1177, e successivamente anche l’OR.1156 del Coastal Command  per una bomba di profondità nucleare (NDB), aggiornato come OR.1178, è stato aggiunto, specificando una potenza “obbiettivo” di 30-50 kT  e temporanea di almeno 5-10 kT fino al 1965 e 15 kT fino al 1970.

Le cinque proposte iniziali comprendevano, tra le altre, una testata Red Snow, ridotta in potenza, nel corpo di una Red Beard allungata a 3,96 metri. Erano tutte realizzabili entro il 1961 ma non presentavano grandi progressi. Altre due proposte impiegavano corpi più aerodinamici, tra questi la Red Snow Tailored Bomb, di 54,6 cm di diametro e lunga 3,96-4,14 metri. Era adatta al trasporto supersonico ma non poteva reggere lo stress del “laydown”. Il primario W-44, fabbricato come Tony, era impiegato in quasi tutte le proposte ma non garantiva i 10 kT minimi.

Gli americani avevano previsto per lo Skybolt la testata W-59, da produrre in Inghilterra come RE.179. La cancellazione dello Skybolt non ha fermato lo sviluppo della testata, che ora veniva considerata come base per i Polaris e la famiglia WE.177. Il primario W-44 non era considerato sicuro. Il derivato inglese Tony impiegava esplosivo più sicuro ma meno potente. Dopo tre anni il decadimento del trizio ne riduceva la potenza da 8,5 a 6,5 kT, insufficiente a garantire l’accensione del secondario termonucleare. Le opzioni finali considerate erano il progetto Ulysses, termonucleare, e la stessa RE.179, ridotta in potenza (Simon) ma con un primario diverso. Il prototipo Cleo è esploso con successo in Nevada nel marzo del 1962. Rifinito nel test Tendrac, è stato adottato come  primario Katie da 10 kT  per la futura WE.177.

A luglio 1962,  il governo inglese ha stabilito la potenza massima delle armi tattiche in 10 kT, di fatto sabotando le richieste della RAF e confermando quelle della specifica GDA10, frattanto divenuta GDA15. Mantenendo la predisposizione per potenze più elevate, La RAF ha pensato di impiegare contro singoli bersagli “hard” le testate di 10 kt, lanciandone 2-4 dai TSR.2 e Buccaneer, spaziate di 914 metri in modalità “stick-bombing” o contemporaneamente, con detonazione attivata da una sola bomba per evitare il “fratricidio”. Ma le dimensioni della stiva del TSR.2 erano rimaste ottimizzate per la vecchia bomba, non era possibile imbarcare due  WE.177. Il diametro della futura bomba è stato allora ridotto da 45,7 cm a 41,9 cm. Nel 1966, prima ancora della consegna, la Royal Navy ha espresso insoddisfazione per le prestazioni previste come bomba di profondità, con KP del 40 %. Una bomba più piccola a bassissima potenza (0,1 kT) da lanciare in gruppo, le cui prestazioni non fossero degradate dagli standard richiesti per il lancio laydown, avrebbe avuto maggior velocità di discesa, KP del 75 %, e maggior affidabilità in acque basse. Ma ragioni finanziarie hanno prevalso.

I requisiti finali prevedevano maggiore affidabilità e  flessibilità operativa, con lancio e trasporto a velocità supersonica e nuovi metodi di sgancio, tra cui il “laydown”, con decelerazioni violente all’impatto col terreno. Serviva una testata in una capsula resistententissima agli urti, per funzionare anche dopo l’impatto, che non richiedesse montaggio ma solo controlli ai sistemi elettrici, pressurizzata e stagna, adattabile a molte armi diverse. Il nucleo fissile WE.176, inserito in produzione, non sarebbe stato rimovibile sul campo, eliminando i sistemi di inserimento LML e IFL. Avrebbe introdotto nuovi standard di precisione con tolleranza minime per produrre una implosione più efficiente (boosted-fission) da una bomba più piccola e leggera con un nuovo Electronic Neutron Initiator (ENI). Doveva essere immagazzinata e trasportata in quattro sezioni (anteriore con  radar, centrale, posteriore e capsula nucleare). E sarebbe stata la prima arma ad adottare la pratica americana di invio alla ditta per la manutenzione, con cicli di 3 anni, poi portati a 4, per la sostituzione del gas trizio, necessari per evitare la riduzione dell’energia di fissione e della potenza dell’ordigno (- 4,4 % all’anno). La produzione, prevista per il 1965, in coincidenza con l’arrivo dei TSR.2 e dei Buccaneer, è stata differita. Un problema più grave ha cambiato le priorità.

WE.177B

Gli sforzi per prolungare la vita dei Victor e Vulcan, garantendone la penetrazione nelle difese sovietiche, avevano prodotto il missile Blue Steel, ma la cancellazione nel 1963 del sostituto Skybolt, e l’adozione dei Polaris non prima del 1969, avevano prodotto un pericoloso “buco”. Si sono considerati progetti di emergenza come il Megaton Martel, varianti aviolanciate dei Polaris e dei Pershing I, e varie bombe nucleari propulse a razzo come la Grand Slam 1. Ma alla fine si è preferito puntare su una bomba strategica a gravità, per questioni di costo, riduzione dei tempi e dei rischi di sviluppo, che consentisse l’attacco a bassa quota. Indicata inizialmente come “weapon x” e “stop gap weapon” ha portato alla specifica OR.1195 con testata ZA.297 (Simon), versione ridotta in potenza della W-59, assieme al nuovo primario Katie.

Entrata in servizio nel 1966 sui Vulcan e denominata Bomb, Aircraft, HE 950 lb MC No.1,   la nuova WE.177B era lunga 3,38 metri, con un diametro di 41,9 cm e pesava 457 kg. Termonucleare, sviluppava  420 kT,  ma non è chiaro se negli anni ‘80 sia stato inserito il sistema “dial-a-nuke” che, secondo qualche fonte, avrebbe consentito la selezione di tre potenze: 100-200-400 kT. 

Le prime nove WE.177B mancavano di spolette radar, perchè il lancio previsto era solo “laydown”. Sono state inserite come retrofit per consentire il lancio a media e alta quota.  Prodotte in 53 esemplari sono rimaste in servizio fino al 1998, ben 32 anni.

Il lancio “ballistic unretarded” avveniva da 7620 metri di quota in su, anche a oltre Mach 2 nel caso del TSR.2. I radar altimetri attivavano lo scoppio in aria a quota media o bassa (AP e AA, airburst primary o alternate). La spoletta ad impatto, lo scoppio al suolo (GP e GA, groundburst primary o alternate).           

L’opzione “laydown on land (LL)” era un impatto controllato. La bomba lanciata da 15-60 metri di quota a velocità tra 0,75 e 1,15 Mach (per i vettori più rapidi) veniva bruscamente rallentata dal parafreno.  L’impatto era violentissimo: Il cono anteriore e la coda assorbivano l’energia dell’impatto a cui seguiva lo scoppio ritardato per consentire al bombardiere di allontanarsi.

Il “dive toss” ,invece, iniziava con una picchiata da 10670 metri, con lancio in cabrata tra 3050 e 4570 metri a velocità comprese tra 0,8 e 2,05 Mach (per il TSR.2)  contro bersagli di superficie anche in mare.

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WE.177A 

Risolto il problema e terminata anche la produzione per i Polaris, la priorità è finalmente tornata alla testata  PT.176 (Katie A) da 10 kT della specifica parallela OR.1176 per la WE.177A, per rimpiazzare la Red Beard  che ora doveva restare in servizio fino alla fine degli anni ‘60, con consegne alla Royal Navy e poi alla RAF. Le prime “Improved Kiloton Bomb” sono arrivate ai reparti nel 1969  e le consegne sono terminate 10 anni dopo. 

Classificata Bomb, Aircraft, HE 600 lb MC  era lunga 2,84 metri, con un diametro di 41,9 cm e pesava 282 kg. La testata  ZA297 aveva due potenze selezionabili: 0,5 e 10 kT. Aveva due modalità di attacco principali:

nuclear depth bomb (NDB): impiegata dagli elicotteri della Royal Navy come bomba di profondità, era priva del radar altimetro anteriore, rimpiazzato con zavorra. Il parafreno pilota e i sensori di velocità erano disabilitati. Veniva lanciata da almeno 300 metri di quota. 4 parafreni, attivati da un cordino al momento del lancio, si sganciavano al contatto con l’acqua per assicurare un rapido affondamento. Muso e coda si allagavano, solo la testata restava stagna e la bomba scendeva a 6 m/sec. La spoletta idrostatica provocava la detonazione alla profondità prevista, fino a 610 metri. Si potevano selezionare due potenze, 0,5 kT (DL, depth bomb low yield) per acque basse (massimo 43 metri) e in oceano (scoppio oltre 43 metri), in presenza di navi amiche, dove anche 10 kT avrebbero potuto danneggiare le unità. 10 kt (DH), in oceano, in assenza di navi alleate. Era prevista la produzione di 79 WE.177A anche per i Nimrod, configurati per portarne due, ma non sono mai arrivate. Lo sgancio, nel loro caso, sarebbe avvenuto a 278 km/h e 305 metri di quota, con parafreno pilota e sensori di velocità rimossi. 

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Laydown on water (LW):  antinave. L’aereo si avvicinava tra 15 e 30 metri di quota a velocità fino 1,15 Mach, il pilota regolava le spolette e lanciava. Il cono anteriore col radar,  inutile per il “laydown”, veniva separato con esplosivo dopo il lancio. I parafreni rallentavano l’ordigno. I sensori per acqua salata attivavano il distacco dei parafreni. Il muso ormai piatto favoriva l’entrata in acqua. La spoletta idrostatica azionava la testata di 10 kT sott’acqua. Simile l’attacco su terra, il muso piatto impediva lo scivolamento al suolo.

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Erano disponibili le opzioni alternative “loft” e “low level retarded” con scoppio in aria e al suolo.

Prodotta in 44 unità per la RAF, è rimasta in servizio fino al 1998. Altri 43 pezzi per la Royal Navy sono stati impiegati dagli elicotteri e dai velivoli imbarcati. Dopo la dismissione delle portaerei, 20 unità sono state trasferite alla RAF, le altre radiate  nel 1992.

WE.177C

All’inizio degli anni ’70 la NATO  ha richiesto una bomba di potenza superiore a quella del missile Lance e della bomba tattica B-43 da 130 kT, ma imponendo un tetto non superiore a 200 kT. La WE.177B  era troppo potente con 420 kt, la WE.177A dava solo 10 kT. Il Buccaneer poteva già trasportare 2 WE.177A/B,  ma avrebbe richiesto costose modifiche per portare le bombe americane. E’ stata così progettata la WE.177C, disponibile in tempo per l’introduzione dei Buccaneer e Jaguar. La sostituzione delle 3 testate  sui Polaris con 2  Chevaline aveva lasciato disponibili i secondari per le WE.177C e a questi si sono uniti i primari provenienti da 14 WE.177A, rimuovendo le spolette e il sistema di variazione della potenza e installando il tutto nel corpo delle WE.177B assieme a zavorra per mantenere i 457 kg di peso e ridurre tempo e costi. La combinazione dava una potenza di 190 kT. Altre 111 bombe di nuova costruzione hanno raggiunto le prime a partire dal 1974.  

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Oltre all’opzione laydown, gli aerei tattici impiegavano il lancio:

“pop up retarded”. L’aereo si avvicinava a 30-60 metri di quota e fino a Mach 1,2  cabrando improvvisamente a 457-3800 metri di quota e 2800 metri dal bersaglio, livellando. I parafreni rallentavano la bomba che poi esplodeva a media o a bassa quota (RP e RA, retarded airburst primary o alternate), attivata dagli altimetri radar o al suolo all’impatto.

“Long toss” con metodo LABS. Sempre a 30-60 metri di quota a Mach 0,95 e 5550 metri dal bersaglio il pilota cabrava lanciando la bomba, che avrebbe continuato la parabola e, raggiunto l’apice, sarebbe poi precipitata sul bersaglio ad alta velocità con scoppio in quota o al suolo. L’aereo terminava la salita in volo rovescio e dopo un tonneaux fuggiva in direzione opposta a oltre 2000 metri di quota. Era efficace contro bersagli terrestri e navali in caso di forte contraerea.        

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“Loft over-the-shoulder”. Simile al precedente ma con cabrata fino a 110° e lancio poco prima di arrivare in volo rovescio, a quasi 2000 metri, per poi picchiare in rotta di fuga a 30-60 metri di quota. Il CEP previsto era di 183 metri. 

Le bombe sono rimaste in servizio fino al 1998. 

Sicurezza

La WE.177 mancava di esplosivo a bassa sensibilità e il nucleo non resisteva al fuoco. Si diceva fosse “one-point-safe”e che le batterie potessero attivarsi per “friggere” i circuiti se rilevavano interferenze non autorizzate, ma non ci sono prove. Le preoccupazioni erano di assicurare l’isolamento elettrico prima di armare la bomba, per non attivare inavvertitamente le batterie. Nessuna arma inglese aveva il Permissive Action Link (PAL) per abilitare l’attivazione in volo tramite collegamento radio col Comando. Il PALS è stato suggerito per la WE.177A, ma avrebbe  richiesto la riprogettazione, con ritardo nello spiegamento. Secondo la Royal Navy “gli ufficiali potevano attivare le armi nucleari solo se autorizzati dal governo, e il PALS si basava sul presupposto che avrebbero potuto sfidare gli ordini”, una cosa inaudita.  La bomba, in depositi protetti da due guardie che interdivano il passaggio oltre la linea delle 50 yarde, veniva pre-armata prima del decollo. Non vi erano doppie chiavi o codici alfanumerici. Solo due ufficiali con una singola chiave e la squadra addetta al carico della bomba. La chiave, con un milione di combinazioni e adatta ad una sola bomba, andava inserita nel foro SEF (Strike Enable Facility) del GCU (Ground Control Unit) dove si stabilivano quota di scoppio, potenza, ritardo, tempo di attivazione delle spolette e altri parametri. Rimaneva lo sgancio da parte del pilota col consenso del secondo, la sequenza di armamento era automatica. Ma vi erano altre tre sicurezze per prevenire la detonazione accidentale o deliberata. 1) Il pilota selezionava l’arma, il metodo di sgancio e regolava le spolette escludendo la prima sicura. Si scollegavano le prese elettriche che connettevano la bomba all’aereo. Mentre l’arma cadeva, due cordini sbloccavano i perni di bloccaggio, che attivavano le batterie e la sequenza di armamento. 2) Due sensori di velocità al superamento di 220 km/h chiudevano la seconda sicura. 3) Dopo il rilascio dei parafreni si  attivava il contatto di armamento che escludeva la terza sicura e forniva potenza alle spolette radar o idrostatiche o ai timer. Tutto doveva funzionare nella corretta sequenza per attivare lo scoppio.

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Si è sostenuto che la WE.177 sia stata copiata dall’americana B-57. I tecnici inglesi avevano avuto accesso, grazie agli accordi bilaterali, ai dati relativi ma è evidente che i primari fossero esclusivamente di progetto inglese. La B57 era simile in peso, dimensioni, potenza e funzioni e l’innesco W-44 era all’origine del Tony inglese. Ma le somiglianze finivano lì. L’intento inglese era la produzione di un disegno comune adattabile a molte armi diverse. La B-57 avrebbe richiesto la riprogettazione completa per aderire alle norme inglesi sulla sicurezza e non poteva adattarsi ai profili di volo e di attacco richiesti dalla Royal Navy. Il tutto sarebbe risultato costoso ed avrebbe richiesto tempo. Il progetto inglese era già in fase avanzata.  

Con una vita utile di 10 anni dal 1986, il governo inglese ha deciso di impiegare le WE.177B  fino  ad esaurimento, senza rimpiazzarle, concentrandosi sul loro miglioramento. Alle WE.177B sui Vulcan erano assegnati bersagli sub-strategici a lungo raggio. I GLCM, poi cancellati, avrebbero dovuto prenderne il posto nel 1982. Solo le WE.177A/C  avrebbero richiesto il rimpiazzo. Ma nessun progetto per la sostituzione ha avuto successo. Una testata multiruolo di potenza variabile intermedia tra la WE.177A e la C, con opzione ERW (Enhanced Radiation Weapon), per bombe, missili antinave P3T (Sea Eagle) e da crociera, siluri e per lo stand-off missile (TASM) è stata valutata e poi abbandonata.  Dal 1994 i ruoli tattici  sono stati assegnati ad una parte dei Trident D5.

La WE.177 è stata integrata sui Sea Vixen, Vulcan, Buccaneer S2, Jaguar, Tornado, Harrier, Sea Harrier e sugli elicotteri Wasp, Wessex, Lynx e Sea King. Sugli Scimitar e sui Canberra è stata montata solo per i test.

Dal 1990 per mantenere le capacità, serviva una produzione minima. L’esplosivo stava degenerando e i tecnici non erano in grado di garantire la sicurezza e le prestazioni agli standard richiesti. Il Governo ha dovuto ritirare le WE.177. Sono state prodotte complessivamente 265 bombe, anche se  alcune stime porterebbero il totale a oltre 300.

Nel 1981, in un articolo, D.Campbell ha riportato l’esistenza di un ordigno nucleare di 600 libbre, chiamato Green Parrot, da lui ritenuto una probabile copia dell’americana B-57. Non si sa da chi abbia sentito il nome. Successivamente altri autori hanno identificato la WE.177A come Green Parrot. L’unica traccia riferita a questo nome è il codice NATO della mina sovietica PFM-1. Il nome iniziale associato al programma WE.177 era Red Flag.

Fonti

http://nuclear-weapons.info/Working_Paper_No_1.pdf

http://en.wikipedia.org/wiki/WE.177

http://nuclearweaponarchive.org/Uk/UKArsenalDev.html

http://www.nuclear-weapons.info/vw.htm

Weapons of mass destruction (R. Hutchinson)

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