Nel secondo conflitto mondiale si sono affermate due scuole di pensiero. La prima, derivante dalle esperienze della Prima Guerra mondiale, privilegiava le armi sincronizzate. I caccia dell’Asse erano, per la maggior parte, dotati di armi sincronizzate e cannoni nel mozzo dell’elica. La seconda, impiegata principalmente dagli Alleati, prevedeva numerose armi nelle ali, con tiro convergente. Entrambe le scelte hanno visto estimatori e detrattori. Cerchiamo di analizzare i dati disponibili.
La scelta di installare le armi in fusoliera permetteva di mantenere i pesi concentrati, liberando le ali, aumentando la velocità di rollio, al punto che i russi e i finlandesi smontavano le mitragliatrici alari nei caccia occidentali in dotazione. Non vi erano problemi nel riscaldamento delle armi, anche se l’installazione nel mozzo dell’elica era talvolta problematica. Non era necessaria la convergenza, la precisione era massima a tutte le distanze. Per contro, la cadenza di tiro calava, dal 10 al 40 % a seconda del tipo di arma, non era possibile installare un numero elevato di armi, il baricentro cambiava al variare del peso durante il fuoco prolungato.
Le armi alari permettevano la massima cadenza di tiro, unita ad un numero più elevato di armi. Ma non sempre vi era lo spazio necessario, tra i longheroni, per una installazione ottimale, specie se il caccia non era stato progettato all’origine con armi alari. Le vibrazioni durante il tiro, il flusso dell’elica e la flessione delle ali, potevano inceppare i meccanismi o i nastri di proiettili, e il freddo poteva bloccare le armi. La distanza maggiore dal centro richiedeva la convergenza, secondo parametri consigliati ma spesso lasciati alla decisione del pilota.
Vi sono stati oltre 2500 piloti da caccia tedeschi “assi” (almeno 5 vittorie) e 101 di questi hanno superato le 100 vittorie. Considerato che il caccia principale impiegato è stato il Me-109, pare che la scelta delle armi sincronizzate sia stata vincente. Lo stesso dicasi per i giapponesi e gli italiani. In campo alleato i due maggiori assi americani hanno impiegato il P-38, con armi centrali. Pure gli assi sovietici hanno ottenuto le loro vittorie con velivoli dotati di armi sincronizzate. Molto indietro nel numero di vittorie, e con velivoli con armi alari, seguono tutti gli altri. Ma è bene non dare giudizi frettolosi.
Probabilità di colpire
I tedeschi avevano calcolato le probabilità di colpi a segno alle varie distanze e il quantitativo medio di proiettili necessario per un abbattimento a seconda del tipo di arma e del bersaglio. I sistemi di puntamento del tempo erano mediocri. Il tiro in deflessione, anche sul finire della guerra, era difficilmente realizzabile e solo piloti molto esperti potevano metterlo in pratica. La valutazione della distanza era il parametro più importante ma sempre scorrettamente calcolato in eccesso. I mirini potevano essere regolati sull’apertura alare del bersaglio, ma il sistema lasciava a desiderare. La conseguenza era che i piloti inesperti, la maggior parte, aprivano il fuoco a distanze eccessive.
La soluzione ? Il tiro a distanza ravvicinata, che minimizzava il tempo necessario ai proiettili per colpire. Le eventuali differenze nella balistica venivano annullate e cosi la caduta di traiettoria o la perdita di velocità dei proiettili, mantenendo la massima precisione e capacità perforante. Il tiro in deflessione era superfluo. Quasi tutti gli assi tendevano ad attaccare di sorpresa a distanze minime, spesso rischiando il pericolo FOD, danneggiamento da frammenti dell’aereo preso di mira.
Secondo le statistiche tedesche il pilota medio colpiva un B-17 col 2 % dei colpi, sparando però da 1000 metri, per evitare il tiro incrociato. Il tiro ottimale non doveva superare i 400 metri, esponendo però il pilota al tiro difensivo. La probabilità di colpire aumentava al ridursi della distanza. A 400 metri i colpi a segno salivano all’8%, a 200 metri al 12%, a 100 metri al 18%. Iniziando il fuoco da 400 metri e preseguendo fino a 200 metri, un FW-190 poteva mettere a segno 20 colpi 20mm, contro i 12 di un Me-109. Non sono mancati piloti estremamente precisi, in grado di piazzare il 30-50 % dei colpi a distanza ravvicinata, abbattendo l’avversario con pochissimi proiettili.
Ma quanti colpi occorrevano per abbattere un aereo ? Le analisi delle fotocamere e degli aerei abbattuti hanno permesso un calcolo preciso. I bombardieri B-17 erano i più resistenti. Erano necessari, in media, 25 colpi da 20mm (minengeschoss) in pieno per ottenere un abbattimento. Se l’attacco era frontale potevano bastare 4-5 colpi ma solo perché veniva centrata la cabina anteriore. Ne servivano 20 contro un Lancaster, 15-20 per gli altri quadrimotori.
Nel caso dei cannoni MK-108 da 30mm, bastavano 4-6 colpi in pieno contro un B-17, ma talvolta un singolo colpo poteva rompere il longherone principale dell’ala dei B-24, disintegrandoli.
Passando alle mitragliatrici pesanti, servivano 100-150 colpi da 13mm per abbattere un B-17.
Per abbattere un caccia erano necessari 6-7 colpi da 20mm (4 contro uno Spitfire), 20-24 da 13mm o 2-4 colpi 30mm contro Mosquito, B-25, P-47, mentre un singolo colpo poteva abbattere un P-51 o uno Spitfire.
Gli inglesi erano giunti a conclusioni simili, calcolando 30 colpi da 20mm per abbattere un bombardiere e 4 per un caccia. Impiegando le 12,7mm sarebbero serviti 300 colpi contro un bombardiere e 20-30 contro un caccia.
I caccia giapponesi Hayabusa, impiegando le 12,7mm con proiettili esplosivi, potevano abbattere un B-24 con 80-90 colpi.
La RAF e l’A&AEE (Aircraft and Armament Experimental Establishment), poco prima del conflitto avevano svolto test ed esercitazioni per valutare l’efficacia di mitragliatrici e cannoni contro fusoliere e motori, calcolando che per neutralizzare o abbattere un aereo fossero necessarie 8 mitragliatrici Browning da 7,7mm (100 colpi sparati per arma) o 4 Browning da 12,7mm (100 colpi per arma) o 2 cannoni HS-404 (30 colpi per arma). Non era rilevabile un reale progresso nel passaggio dalle 7,7mm alle 12,7mm. Entrambe, attraversando le strutture, non riuscivano a forare le blindature sui bombardieri. E le 12,7mm erano molto più pesanti: se 8 mitragliatrici da 7,7mm con 2400 colpi pesavano 188 kg, solo 4 mitragliatrici pesanti da 12,7mm con 1000 colpi pesavano 252 kg. E in una raffica di 1 secondo, le prime sparavano 160 colpi, le seconde solo 40.
La US Navy stimava che un cannone Hispano Mk2 da 20mm fosse equivalente a 3 mitragliatrici M2 da 12,7mm (o a 2,5 M2 a distanza più elevata) e una 12,7mm equivalente a 2-3 mitragliatrici da 7,7mm. Nel dopoguerra i test condotti dall’USAF contro velivoli, hanno dimostrato che un colpo da 20mm era 5-6 volte più potente di un 12,7mm.
In diversi forum vi sono appassionati difensori delle 12,7mm americane, con giudizi sprezzanti sulla scarsa potenza dei cannoni MG-FF o Type-99. Non si vuole accettare il fatto che, pur affidabili, le M2 fossero inferiori a molti modelli stranieri, russi, tedeschi e giapponesi, che fossero pesanti e la loro potenza per nulla paragonabile ai cannoni da 20 mm, che i caccia americani non abbiano mai dovuto affrontare dei B-17, che fossero necessarie almeno sei armi per avere un armamento adeguato (contro i caccia !), che la cadenza iniziale fosse bassa, che la semplice presenza di blindature o serbatoi autostagnanti rendesse il bersaglio “ostico” e che la maggiore portata fosse quasi del tutto inutile nel reale contesto operativo. Tanti ritengono le otto 12,7mm del P-47 un armamento micidiale, non considerando che, con quattro cannoni da 20mm, un P-47 avrebbe avuto una potenza di fuoco doppia e 378 litri in più per scortare i bombardieri. Elementi che si sarebbero ripresentati puntuali nella Guerra di Corea.
Corazzature, serbatoi autostagnanti e struttura
Si è soliti denigrare pesantemente gli aerei giapponesi e russi, per ragioni dettate da pregiudizi e scarse competenze tecniche e storiche. Quasi tutti gli aerei, all’inizio del secondo conflitto, mancavano di serbatoi autostagnanti e blindature o queste erano limitate al seggiolino del pilota. Molte parti erano ancora in legno e tela. Il blindovetro era raro. La scelta giapponese di non inserire corazzature sullo Zero o serbatoi autostagnanti aveva quindi un senso: perché metterle se il nemico non riesce a colpirvi ? Con una struttura leggera, ma estremamente resistente, era possibile aumentare l’autonomia, senza penalizzare il potente armamento. Il P-39, dotato di estese blindature, era un facile bersaglio. Il blindovetro sugli Spitfire è apparso appena in tempo. Più importanti i serbatoi autostagnanti. Ma i modelli di inizio guerra non erano molto efficienti, potendo resistere al massimo a proiettili da 7,7-7,92mm. Un colpo da 20mm li avrebbe disintegrati. Anche nei modelli successivi al 1942, era garantita la tenuta contro colpi da 12,7mm al massimo.
Molto importante la resistenza della struttura. Non ha molto senso discutere di capacità perforante senza considerare che il proiettile deve attraversare il rivestimento metallico e l’intelaiatura interna, prima di raggiungere le blindature, dopo aver perso magari 1/3 della velocità iniziale. E la portata massima è un miraggio: il fatto che una mitragliatrice Colt Browning M2 abbia una portata efficace di 1800 metri (a terra), non ha nulla a che vedere con quella effettiva nel tiro aria-aria, difficilmente superiore a 500 metri, senza contare il tipo di “convergenza”.
Convergenza
Ci si è presto resi conto che il passaggio dalle armi sincronizzate a quelle alari avrebbe comportato una certa dispersione. La convergenza ha permesso una maggior concentrazione di colpi ad una distanza definita. Sfortunatamente i bersagli più vicini o più lontani potevano così sfuggire al tiro o risultare solo lievemente danneggiati. Pensare di colpire un caccia a 500 metri non era realistico. Ma ci è voluto del tempo per capirlo.
Nella Battaglia d’Inghilterra inizialmente le mitragliatrici dei caccia inglesi avevano il tiro convergente su una zona a 366-411 metri di distanza e talvolta superiore, volta a favorire, con la dispersione, i piloti meno abili. La distanza, su consiglio dei piloti più esperti è stata ridotta, a metà del 1940, a 228 metri, più che adeguata, considerata la portata utile di 300 metri delle 7,7mm, e talvolta a 110 metri. Le tattiche di dogfight imponevano la convergenza a brevi distanze. I piloti americani hanno regolato inizialmente la convergenza a 152 o 228 metri. Era possibile regolare le coppie di armi su differenti distanze: nel 1944 il tenente U. Drew aveva regolato le armi del P-51 a 183, 228 e 274 metri, con le esterne a maggior distanza. In altri casi la distanza è stata ridotta a soli 90 metri, come su alcuni Corsair nel 1943 o su un P-47 nel 1944 o, addirittura a 50 metri, come sul Me-109 di Erich Hartmann.
I proiettili erano soggetti a caduta di traiettoria e rapida perdita di velocità, oltre alla dispersione naturale, accentuata se sparati dalle armi alari più distanti dal centro, come verificato nel confronto Spitfire-Hurricane, a favore del secondo. I russi calcolavano la dispersione pari a 1,5 T (T il tempo di volo). Per il proiettile della mitragliatrice ShKAS, il tempo di volo a 300 metri (a 4000 metri di quota) era di 0,35 secondi, con una dispersione di 1,5 x 0,35 = 0,525 metri, pari a 1,2 millesimi, corrispondente ai calcoli di altre nazioni.
Una maggior velocità iniziale permetteva una minor caduta di traiettoria, un tempo inferiore di arrivo sul bersaglio e una portata maggiore, tanto che i test eseguiti negli Stati Uniti, in Germania e inghilterra hanno mostrato che un aumento della velocità del 25 % aumentava i colpi a segno del 50 %. Un aumento del 33 % raddoppiava i colpi a segno. Ma questo è valido nei tiri a media distanza in deflessione. Nella seconda parte del conflitto, l’attacco in picchiata, anche negli attacchi al suolo, ha reso necessaria una convergenza aumentata, come nel caso dei P-47, a 274, 305, 335 o 366 metri.
Nel secondo dopoguerra i sistemi di controllo del fuoco sono divenuti, poco alla volta, molto più precisi, grazie ai radar telemetrici, permettendo il tiro anche in deflessione a qualunque distanza, con percentuali di colpi a segno notevoli, anche del 30-50 %, necessarie vista la brevissima “finestra” utile di una raffica. Oggigiorno i sistemi computerizzati collegati al radar consentono un abbattimento, anche frontale, completamente automatico, come dimostrato da un caccia F-15. Ma il dogfight è ormai una cosa del passato.
Fonti
http://en.wikipedia….nk#World_War_II
http://forum.keypubl…hread.php?t=841
https://bbs.hitechcreations.com/smf/index.php?topic=285444.0
L’unica eccezione è stato il P-38 Lightning , che pur avendo le armi nel muso non era costretto a sincronizzare la cadenza di tiro o a convergere il fuoco in un punto. 4 mitragliatrici da 12.7 mm e un cannone da 20 mm erano una potenza di fuoco generosa.
E tra parentesi pare che l’ultima versione la J , arrivata praticamente a fine guerra, fosse il migliore tra i caccia a con motore pistoni come velocità , manovrabilità e autonomia.
L’ultima versione è stata la L (escludendo i caccia notturni P-38M). L’autonomia era eccellente, ma con serbatoi ausiliari. La velocità reale era di 680 km/h. La manovrabilità era ottima con ridotto raggio di virata, rollio fenomenale e velocità di salita ai vertici. Sto pensando ad un confronto P-38 contro… ?