Il programma per un nuovo missile da crociera è iniziato già nel 1971, per sostituire l’MGM-13 Mace, senza molta convinzione, stante l’ostilità verso questo tipo di armi da parte dell’USAF. Nel 1976, l’Unione Sovietica ha iniziato lo spiegamento in Europa dei sistemi mobili RSD-10 Pioneer (SS-20 Saber) con testate MIRV, dal 1979 in numero significativo, mettendo in seria difficoltà la strategia difensiva della NATO, soggetta ad un possibile attacco improvviso senza poter contrapporre alcun sistema d’arma similare. Nel 1977, dietro le insistenze di H.Schmidt, il governo americano è corso ai ripari, ed è iniziato lo sviluppo del sistema GLCM. Prima di allora, l’USAF aveva già avviato il progetto AGM-86B, ma solo il Tomahawk della US Navy era disponibile per il lancio da superficie. Nel frattempo lo U.S.Army proponeva l’MGM-31C Pershing II. I due missili erano complementari: il GLCM, con raggio d’azione superiore, poteva penetrare le difese nemiche a bassissima quota sotto la copertura radar, poteva essere installato in basi più lontane e in molti paesi. Ma il Pershing II era così veloce da ridurre il tempo di reazione avversario. Si poteva scegliere l’arma, complicando i piani del nemico e minacciando direttamente i leader sovietici, pure se a Mosca in un bunker interrato. Il Congresso ha deciso di acquisire entrambi.
La NATO ha deciso una politica su due binari, cercando di spingere al dialogo su un trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces) e, contemporaneamente, installando oltre 400 missili GLCM e 108 Pershing II. L’obbiettivo era impedire che i dirigenti sovietici pensassero che un attacco contro l’Europa non avrebbe causato la rappresaglia americana, non essendo minacciati gli Stati Uniti.
Nonostante l’urgenza, lo sviluppo della variante terrestre si è rivelato piuttosto lento, col primo lancio nel 1980. L’addestramento del personale alla base di Davis-Monthan, Arizona (868° TMTG) è iniziato nel 1981, pur non essendo completati i test. Il primo lancio guidato è slittato a febbraio 1982, e i test operativi a maggio. Lo spiegamento è iniziato lo stesso anno ma la fine dello sviluppo e l’IOC sono arrivati solo alla fine del 1983. Non meno problematica è stata la realizzazione dei veicoli lanciatori, delle centrali di controllo e delle infrastrutture. Il GLCM è stato designato BGM-109G Gryphon.
Lo spiegamento dei missili ha subito provocato accese proteste da parte di numerosi gruppi di attivisti comunisti, supportati dall’Unione Sovietica, evidentemente poco propensi a considerare allo stesso modo i numerosissimi sistemi missilistici puntati da tempo contro l’Europa, di cui gli SS-20 erano solo l’ultimo esempio. Gli abitanti presso le basi, invece, non vedevano di buon occhio i lanciatori con testate nucleari che li rendevano un possibile obbiettivo. Altri condannavano la politica di Reagan, accusata di provocare tensione tra i blocchi.
L’attacco
Ogni Tactical Missile Wing (i missili appartenevano all’USAF), era formato da un TMS (Tactical Missile Squadron) responsabile delle operazioni e dello spiegamento, e da un TMMS (Tactical Missile Maintenance Squadron) per il supporto. Ogni TMS era diviso in Flight con 69 soldati, 4 lanciatori TEL, 2 veicoli LCC (Launch Control Center), ciascuno con due ufficiali di lancio, collegati ai TEL e tra di loro, oltre a 16 veicoli di supporto per i tecnici e il personale medico e difensivo. Normalmente erano situati in hangar protetti rinforzati GAMA (GLCM Alert and Maintenance Area).
Nel caso vi fossero state avvisaglie di un possibile conflitto, i TEL di 35380 kg, ognuno con 4 missili in tubi di alluminio, e i veicoli di supporto, si sarebbero diretti verso zone di lancio segrete mimetizzate predisposte a 160 km di distanza dalla base, lungo percorsi nascosti ai satelliti. TEL e LCC erano trainati da trattori M1001 (MAN KAT 1 8×8), capaci di muoversi su ogni terreno. Ogni articolato era lungo 19,8 metri, largo 2,44 metri e alto 3 metri. Su strada poteva raggiungere gli 80-90 km/h, con raggio d’azione di 800 km. L’intero convoglio, raggiunta la zona di lancio, veniva coperto con reti mimetiche e i soldati predisponevano le difese esterne con radar anti-intrusione. La dispersione avrebbe assicurato la quasi totale invulnerabilità, come dimostrato nella Guerra del Golfo, con l’inutile caccia ai lanciatori SCUD e l’impossibilità di nuclearizzare aree estese.
I computer e il sistema inerziale dei missili avrebbero ricevuto le coordinate del luogo di lancio tramite satelliti NAVSTAR, con una precisione di 10 metri, comprensivi di altezza sul livello del mare, oltre ai dati meteo e alla rotta prevista sul bersaglio (in una rosa di 25). I due ufficiali avrebbero poi inserito, in 20 minuti, i codici di lancio ricevuti via satellite. Ottenuta l’autorizzazione, avrebbero premuto contemporaneamente i pulsanti di lancio. I GLCM, soprannominati Glickum, sarebbero stati lanciati per primi, seguiti, due ore dopo, dal lancio dei Pershing, così veloci da giungere sui bersagli contemporaneamente.
Il Gryphon, lungo 5,56 metri, 6,25 col booster, con un diametro di 52 cm e una apertura alare di 2,62 metri, pesava 1202 kg, 1469 col booster. Quest’ultimo, un Atlantic Research Mk-106 da 2722-3175 kg/sp, della durata di 12-13 secondi, a propellente solido, spingeva il missile fuori dal tubo a 45°, per poi sganciarsi. A 4 secondi dal lancio si aprivano le alette di controllo, dopo 10 secondi, invece, la presa d’aria e le ali. Il motore turboventola Williams International/Teledyne F107-WR-400, con una spinta di 269-272 kg, impiegava propellente liquido RJ-4. Si attivava dopo lo sgancio del booster. Entro 5-10 secondi accelerava il missile a velocità di crociera (800-880 km/h). La prima parte del volo avveniva ad alta quota (da 3050 a 12200 metri) con navigazione inerziale, per aumentare l’autonomia. Il raggio d’azione di 2780 km era “operativo”, comprensivo di virate e variazioni di velocità e quota. In condizioni ideali poteva, secondo le stime, superare i 4000 km. All’ingresso nel territorio nemico, il missile sarebbe sceso fino a 15-30 metri di quota. Il GLCM impiegava la guida TAINS (TERCOM Aided Inertial System), formata dal sistema di navigazione inerziale Litton P-1000, con 800 metri d’errore per ora di volo, corretto tramite il McDonnell Douglas DPW-23 TERCOM (TERrain COntour Matching).
Il missile a determinati punti di controllo (checkpoint), verificava la posizione per aggiornare la rotta. Un altimetro radar Honeywell in banda G-H (4-8 GHz), con fascio di 13-15°, generava un flusso continuo di letture di altezza, i cui dati erano confrontati con i rilievi barometrici, data la quota variabile, con un errore massimo di un metro. Il radar era a bassa rilevabilità, disponendo di gestione della potenza, minimi lobi laterali e PRF variabile. Il computer comparava i dati di quota alle mappe digitali in memoria per trovare i punti coincidenti nella matrice ed aggiornare il sistema inerziale. Le mappe digitali 3D provenivano da un data-base delle aree dei bersagli, ricavate da scansioni satellitari, immagazzinate come matrici di punti di elevazione o immagini stereoscopiche.
Il volo tra i checkpoint era inerziale, era necessario quindi un numero limitato di mappe. Queste erano lunghe 7-9 km, e larghe da 48 km (prima mappa) a 926-1852 metri (ultima), divise in matrici rettangolari di 64 celle con lato da 30 a 975 metri. Ogni cella aveva un valore medio di elevazione. Il computer controllava tre mappe, prima di aggiornare il sistema inerziale. Se una non era in accordo con le altre, il missile proseguiva verso il checkpoint successivo. In volo tra 30 e 100 metri di quota, a seconda dei rilievi, il missile effettuava virate (dogleg) programmate per evitare i radar di avvistamento e le difese aeree sul percorso, e ingannare il nemico sul reale obbiettivo.
Il volo a bassissima quota ritardava la scoperta e l’intercettazione. La traccia radar, nelle bande alte, era di 0,1 m2. La presa d’aria non era visibile dall’alto. La segnatura infrarossa era limitata, per la bassa temperatura dei gas di scarico mescolati. Secondo i critici, il TERCOM avrebbe potuto presentare problemi su terreni piatti come la Siberia o i deserti arabi e durante i cambiamenti stagionali, cosa verificatasi successivamente in alcuni casi in combattimento. Ma in Europa non vi sarebbero stati problemi, dati i numerosi punti di riferimento caratteristici. Gli obbiettivi erano bersagli fissi rinforzati, come silo ICBM e centri di comando interrati, ma anche bersagli areali, come aeroporti, depositi, linee di comunicazione, concentramenti di truppe. Tra quelli probabili, figuravano la base navale di Kronstadt e il quartier generale della Flotta del Nord a Severomorsk.
Nell’ultimo tratto il missile cabrava per poi picchiare sul bersaglio. La precisione teorica era di 0,4 volte la dimensione delle celle della matrice. Il CEP dichiarato di 90 metri era in realtà stimato in 18 metri. La testata termonucleare W-84 era la più sicura dell’arsenale statunitense. Pesava 176 kg e disponeva di 8 dispositivi di sicurezza. Con scoppio in quota o a contatto, era termonucleare a potenza variabile, da 0,2 kT ad un massimo di 150 kT. Presumibilmente erano disponibili le potenze intermedie da 1,5 kT, 10 kT e 50 kT. Aveva una probabilità dell’85 % di distruggere un obbiettivo in grado di resistere a sovrappressioni di 70 kg/cm2.
Sono stati fabbricati 560 missili e 95 TEL. Ogni sistema costava 4471000 $ nel 1986 ma altre stime parlano di 1,3 milioni di $ per un singolo BGM-109G. I missili erano dislocati in sei paesi: 501° TMW a Greenham Common, Regno Unito (1982-1991, 96 cruise), 487° a Comiso, Italia (1983-1991, 112 cruise), 485° a Florennes, Belgio (1984-1989, 48 cruise), 38° a Wueschheim, Germania ovest (1985-1990, 80 cruise), 303° a Molesworth, Regno Unito (1986-1989, 64 cruise), 486° a Woensdrecht, Paesi Bassi (previsti 48 cruise).
Il trattato INF
I colloqui sono iniziati nel 1981 ma si sono intensificati solo quando è iniziato lo spiegamento massiccio. Gli americani proponevano l’opzione “zero-zero”, l’eliminazione totale di tutti i sistemi in Europa. L’Unione Sovietica consentiva 300 GLCM ma pretendeva di mantenere un numero di testate su SS-20 pari a quello dei GLCM e delle bombe nucleari di Francia e Regno Unito. Alla fine del 1983, dopo l’arrivo di altri cruise, i sovietici hanno abbandonato le trattative. Sembrava un vicolo cieco. Non solo gli SS-20 erano ancora presenti, adesso erano puntati sulle città che ospitavano i missili. A marzo del 1985, M.Thatcher ha convinto le parti a riprendere il dialogo. I sovietici hanno subito eliminato 3 dei 9 gruppi di SS-20 presenti. L’incontro alla fine del 1986 tra Reagan e Gorbachev a Reykjavik ha poi portato all’accordo, con la ratifica dell’INF l’8/12/1987.
Il trattato prevedeva l’eliminazione di tutti i missili di teatro con raggio d’azione tra 500 e 5500 km, quindi i vari GLCM, Pershing II, SSC-4 Slingshot, SS-4 Sandal, SS-5 Skean, SS-12 Scaleboard, SS-20 Saber, SS-22 Scaleboard B, SS-23 Spider. Al contrario di quanto sostenuto dagli oppositori, i cruise si sono rivelati non solo determinanti per le trattative, ma uno degli elementi più importanti per la vittoria nella Guerra Fredda, col collasso dell’Unione Sovietica. Nel 1988 è iniziato il ritiro dei cruise, riportati negli Stati Uniti e distrutti entro maggio 1991.
Nel 2018 Gli Stati Uniti hanno accusato la Russia di non aver rispettato il trattato installando nuovi missili di teatro. Trump il 20/10/2018 ha annunciato l’uscita dal trattato INF, resa attiva dal febbraio 2019. Sono arrivate conferme sullo sviluppo di un nuovo sistema simile al BGM-109G.
Fonti
War machine (Aerospace Publishing 1983)
https://www.airforcemag.com/article/0702glcm/
http://www.military-today.com/missiles/bgm_109g_gryphon.htm
https://apps.dtic.mil/dtic/tr/fulltext/u2/a296538.pdf