Il previsto miglioramento delle difese sovietiche, a partire dagli anni ’60, avrebbe reso presto impossibile ai bombardieri inglesi della V-Force il sorvolo del bersaglio, necessario per lo sgancio delle bombe nucleari a gravità. Era necessario sviluppare un missile da lanciare oltre il raggio d’azione dei missili superficie-aria. Un requisito in tal senso è apparso nel 1954 come OR.1132, per un missile strategico da Mach 3 e almeno 80 km di portata.
La proposta della Handley Page riguardava un missile con un raggio d’azione di ben 930 km ma il sistema di guida non era preciso oltre i 185 km. Il progetto della Avro è iniziato nel 1955, col nome in codice “Blue Steel”. La Elliots avrebbe fornito il sistema di guida e la Armstrong Siddeley il motore a propellente liquido. I problemi da affrontare sono stati notevoli già in fase di progettazione, anche per la mancanza di informazioni definitive sul peso e sulle dimensioni della prevista testata a fissione Green Bamboo o delle successive termonucleari derivate dal programma Granite. E’ stata alla fine preferita la proposta della Avro, sebbene la ditta non avesse esperienza nel settore.
Disegnato per una velocità di Mach 3, rendeva obbligatorio l’impiego di acciaio inox, ma la tecnologia di fabbricazione era tutta da sviluppare. Così come l’autopilota, il sistema di navigazione e quello inerziale. Lo sviluppo e i test sono stati rallentati per problemi al sistema di guida della Elliots. Si è ricorsi allora ai giroscopi americani Kearfott, poi riprodotti su licenza. L’energia richiesta era notevole: l’elettronica era a valvole e questo fattore, oltre all’assorbimento diretto, implicava la dissipazione del calore prodotto, con una testata nucleare da mantenere a temperatura costante, con valori esterni che passavano da -70oC a centinaia di gradi dopo il lancio. L’unità APU, prodotta dalla de Havilland, era inaffidabile. La mancanza di progressi, fino al 1962, ha impedito l’avvio del progetto Blue Steel Mk2 a statoreattore, più veloce (Mach 3) e con un raggio d’azione di 1287 km, cancellato nel 1960 per evitare ritardi nello sviluppo dell’Mk1. Ulteriori disegni per varianti avanzate da 4,5 Mach e 1700 km di autonomia sono stati rifiutati, ordinando alla ditta di limitarsi alla specifica OR.1132. Le testate nucleari inglesi in fase di sviluppo, Orange Herald e Green Bamboo, erano grandi e questo avrebbe imposto al missile una fusoliera di grande diametro. Alla fine, però, nessuna testata inglese è stata installata, neppure la Green Grass. E’ stata invece adottata la Red Snow, variante dell’americana W-28.
Per accelerare i test a Woomera, in Australia, diversi simulacri sono stati provati in volo sui Victor e Vulcan nell’operazione Blue Ranger. Le prove sono iniziate nel 1960, data originariamente prevista per il servizio attivo. Nel primo lancio il prototipo è stato equipaggiato con due motori Double Spectre da 7257 kg/sp, prima della sostituzione col definitivo Stentor.
Il Blue Steel Mk1, prodotto dal 1959, è entrato in servizio alla fine del 1962 con l’IOC l’anno successivo sui Vulcan B.2 e sui Victor B.2. Ne sono stati ordinati 57, di cui 4 impiegati nei test. 48 esemplari erano operativi su 24 Vulcan e 12 Victor, con 5 missili come riserva. Ulteriori 20 esemplari, non nucleari, sono stati destinati all’addestramento e ad altri scopi.
Il Blue Steel era lungo 10,7 metri , con un diametro di 1,28 metri, aveva una apertura alare di 4 metri e pesava 7711 kg. Il sistema di controllo era “twist and steer”, con alettoni sul bordo uscita delle ali a delta a 60° e canard anteriori. La deriva ventrale era ripiegabile per consentire il carico sui bombardieri.
L’attacco
Programmato con le coordinate del bersaglio, costantemente aggiornate durante il volo, il missile veniva sganciato ad una distanza massima dal bersaglio variabile da 160 (operativa) a 320 km. Il sistema inerziale era così preciso da essere spesso impiegato dall’equipaggio per la pianificazione della rotta.
Il motore Bristol Siddeley, poi Rolls Royce, Stentor BSSt.1 (Mk101) a propellente liquido e doppia camera di combustione, era alimentato con 364 litri di kerosene e 1818 litri di perossido di idrogeno (HTP) come ossidante.
L’attacco “diretto” permetteva il massimo raggio d’azione. Sganciato a 12200-16770 metri di quota e 0,94 Mach, dopo 4 secondi in caduta libera si attivava la prima camera di combustione (boost) con una potenza di 11430 kg/sp (+/-5%, a 13700 metri) per 29 secondi, che lo accelerava in salita. Il limite era di 33500 metri ma la quota massima programmata normale era di 21500-24400 metri, con una velocità di Mach 1,6. Il missile livellava e attivava la seconda camera di crociera, con spinta variabile tra 453 e 2812 kg/sp. Il volo proseguiva accelerando progressivamente fino ad una velocità variamente stimata tra 2,3 e 2,5 Mach, inferiore ai 3 Mach dichiarati. Il sistema inerziale era molto preciso e non disturbabile: in condizioni ideali, il CEP era previsto in soli 90 metri. Quello medio era di 250 metri. In prossimità dell’obbiettivo il motore si spegneva e il missile precipitava in caduta libera. La testata termonucleare Red Snow da 1,1 Mt era regolata per scoppio in aria, a 500 o 1000 metri di quota.
Era possibile l’attacco diretto a quote inferiori, anche al livello del mare.
L’attacco “indiretto” prevedeva manovre di evasione programmata, con cambi improvvisi di quota o direzione.
Nel “Dogleg” il missile si dirigeva su un bersaglio fittizio per poi virare bruscamente verso il vero obbiettivo, disorientando le difese.
Difetti
l’elettronica di guida doveva essere protetta dalle condizioni ambientali estreme obbligando a mantenere i missili in depositi riscaldati e condizionati.
Il Blue Steel richiedeva fino a 7 ore di preparazione, 30-60 minuti solo per caricare il combustibile. Tempi lontani dai 4 minuti richiesti per un decollo su allarme. Ed era inaffidabile: la RAF nel 1963 stimava che il 50 % dei missili non sarebbe partito e avrebbe dovuto essere sganciato sul bersaglio.
Il comburente (HTP) era estremamente tossico. In caso di contatto, il personale doveva correre a tuffarsi in una vasca per evitare l’accensione della tuta protettiva. L’installazione richiedeva l’unione perfetta di tre gruppi di 157 connettori, altrimenti bisognava scaricare il missile e ricominciare da capo. Gli aerei, sulla carta, erano riconfigurabili per le missioni convenzionali. In realtà la presenza dei sistemi di condizionamento e aggancio a bordo lo impediva.
Modifiche
Il raggio d’azione era insufficiente. I bombardieri rimanevano vulnerabili. Ma il sostituto previsto, l’AGM-48 Skybolt, è stato cancellato nel 1962. Il miglioramento dei missili superficie-aria sovietici ha reso obbligatorio il passaggio agli attacchi a bassa quota. Tutti i Blue Steel, nel 1964, sono stati sottoposti ad un programma rapido per consentire il lancio a quote minime, da 300 a 4570 metri, dopo una manovra pop-up dai Vulcan, per consentire al missile di scendere prima dell’attivazione dello Stentor. I due motori venivano accesi contemporaneamente per 17 secondi e il missile saliva fino a 5180-12190 metri, planando poi verso l’obbiettivo a 1,5 Mach. Il raggio d’azione si riduceva a soli 40-80 km con un CEP di 300 metri. Secondo una fonte, sui Blue Steel modificati era possibile alternativamente aumentare il raggio d’azione o gli ausili di penetrazione. Se davvero presenti, questi ultimi avrebbero compreso, probabilmente, lanciatori di chaff o jammer. Ma non si trovano conferme.
Il Blue Steel è stato ritirato dal servizio sui Victor alla fine del 1968, e due anni dopo, il 31/12/1970 dai Vulcan.
Fonti
Rockets and missiles (B. Gunston)
Vulcan: God of fire (T. Mc Lelland)
Victor units of the cold war (A. Brookes)
Chissà a che velocità e angolo il Blue Steel picchiava sul bersaglio, e se c’erano sistemi di difesa a.a. a corto raggio (tipo SA-8 o Spada) che potessero intercettarlo. Se l’angolo fosse stato diciamo sopra i 60° dubiterei, ad ogni modo.
Ho letto che lo l’Aspide usato come SAM ha una quota massima di 6.000 metri, in qual caso difficilmente avrebbe potuto anche solo partire prima dell’esplosione finale.
Nei pochi disegni pubblicati sembra che l’angolo di picchiata fosse notevole, attorno ai 60°, con velocità terminale oltre Mach 2. Il Blue Steel avrebbe dovuto affrontare le difese missilistiche statiche sovietiche degli anni ’60, quindi i sistemi S-25 (SA-1 Guild), S-75 (SA-2 Guideline) ed S-125 (SA-3 Goa). Verso la fine degli anni ’60 sono apparsi anche gli S-200 (SA-5 Gammon). Armi in grado, teoricamente, di colpirlo. Ma la bassa traccia radar (rispetto ad un bombardiere), la quota di attacco elevata, le manovre evasive e la picchiata terminale, avrebbero ridotto enormemente i tempi di reazione dei sistemi difensivi, abbassandone le possibilità di successo.